La luna e i falò - Cesare Pavese

C'è un caldo afoso nella vigna, l'aria sembra aver abbandonato questa zona di mondo. Le cicale stridono incessantemente coprendo il silenzio, che altrimenti, insieme all'afa e alla mancanza d'aria, avrebbe completato il passaggio in una dimensione surreale di vuoto. 
Quante volte ho visto questa vigna... saprei camminarci a occhi chiusi e vedere lo stesso ogni tralcio, ogni palo, ogni solco. Potrei raccontare cosa successe ogni volta che mi ci sono addentrato, tutte le scorribande con Nuto, le giornate perse a cacciare le lucertole, le fughe dopo le feste a guardare la luna. Ho in mente i volti di tutte quelle schiene che si sono piegate lavorando qui. Stringendo un pugno di terra bruciata e polverosa, posso sentire il sangue di tutti i morti seppelliti qui, dei loro padri, dei loro vecchi, che da duecento anni rendono qui, in questo buco di mondo, il loro sangue arido alla terra altrettanto arida. Sento colare il sangue dei morti in guerra, gente di passaggio, che si mescola ai primi, nella terra grumosa. E stritolando ancora più forte, stringendo fino a conficcarmi le unghie nel palmo, sento tuttavia, che ciò che sgorga dalla mia ferita, non si mescola con ciò che ho nel pugno. 
Questa terra, la tengo in mano, ma non la posseggo.
Questa vigna, la vedo, ma non la riconosco.
Questa terra non vuole il mio sangue.
Sono come cenere sparsa dall'ultimo schiocco, di un falò estinto.

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